Carissimi,
ieri in occasione della celebrazione per il Venerdì Santo, il Santo Padre Francesco non ha proclamato una sua omelia, ma ha “lasciato la parola” a Padre Raniero Cantalamessa, che non ha bisogno di presentazione alcuna (per chi non lo conoscesse, basta seguire il link relativo al suo nome), e che lo stesso Santo Padre ha ascoltato con profondità.

Ho quindi trascritto il discorso di Padre Raniero, e realizzato una serie di “fermi immagine” per documentare la singolare ed irripetibile liturgia, per chi non avesse avuto modo di seguirla e non ha tempo di rivederla.

Il mio consiglio è di non farvi prendere dai “commenti” che vari articoli hanno già fatto di questa formidabile catechesi, ma di leggerla parola per parola, se proprio non avete tempo di riascoltarla.

Il testo della trascrizione lo trovate dopo le prime foto, mentre il link al video riguarda tutta la liturgia, ma è configurato in modo tale da “puntare” direttamente al momento dell’inizio dell’omelia.

Vi auguro di tutto cuore di vivere il silenzio del Sabato Santo con Pace.

11 Aprile 2020, Sabato Santo
Ave Maria!
Marco.

Il Santo Padre si prostra in silenzio
Il crocifisso, coperto da tre drappi rossi.
Vista dall’alto sull’Altare Maggiore spoglio,
e sull’Altare della Cattedra
utilizzato in questi giorni per tutte le celebrazioni del Santo Padre

Le letture del giorno: Is 52, 13 – 53, 12; Sal.30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 -19, 42.

Un lettore proclama l’epistola
Vista dell’altare della Cattedra all’inizio della lettura del Passio
Lettura del Passio
e, chinato il capo, consegnò lo spirito

San Gregorio Magno diceva che la scrittura “cresce con coloro che la leggono”: cum legentibus crescit; esprime significati sempre nuovi a seconda delle domande che l’uomo porta in cuore nel leggerla, e noi quest’anno leggiamo il racconto della passione con una domanda, anzi con un grido, che si leva da tutta la terra e dobbiamo cercare di cogliere la risposta che la parola di Dio dà a questo grido.

Quello che abbiamo appena riascoltato è il racconto del male oggettivamente più grande mai commesso sulla terra; noi possiamo guardare ad esso da due angolature diverse: o di fronte, o di dietro; cioè, o dalle sue cause, o dai suoi effetti.

Se ci fermiamo alle cause storiche della morte di Cristo ci confondiamo e ognuno sarà tentato di dire come Pilato “io sono innocente del sangue di costui” (Mt 27,24).

La croce si comprende meglio dai suoi effetti che non dalle sue cause e quali sono stati gli effetti della morte di Cristo? Paolo ce lo dice: «Resi giusti per la fede, riconciliati e in pace con Dio, ricolmi di speranza di una vita eterna» (Rm 5,1-2).

Ma c’è un effetto che la situazione in atto ci aiuta a cogliere in particolare: la croce di Cristo ha cambiato il senso del dolore e della sofferenza umana, di ogni sofferenza, fisica e morale; essa non è più un castigo, una maledizione: è stata “redenta” in radice, da quando il figlio di Dio l’ha presa su di sé.

Padre Raniero mentre predica dall’ambone di San Pietro

Qual è la prova più sicura che la bevanda che qualcuno ti porge non sia avvelenata? E’ se lui beve davanti a te dalla stessa coppa: così ha fatto Dio! Sulla croce ha bevuto, al cospetto del mondo, il calice del dolore fino alla feccia, e ha mostrato così che esso non è avvelenato, ma che c’è una perla in fondo a questo calice e non solo il dolore di chi ha fede, ma ogni dolore umano.

Egli è morto per tutti: quando sarò elevato da terra – aveva detto – attirerò tutti a me, tutti, non solo alcuni!

Soffrire, scriveva San Giovanni Paolo II dopo il suo attentato, significa diventare particolarmente suscettibili, particolarmente sensibili all’opera delle forze salvifiche di Dio offerte all’umanità di Cristo (Lettera Apostolica “Salvifici Doloris“, 1984)

Grazie alla croce di Cristo la sofferenza è diventata anch’essa, a modo suo, una specie di “Sacramento universale di salvezza”, per il genere umano.

Qual è la luce che tutto questo getta sulla situazione drammatica che il mondo sta vivendo? Anche qui, più che alle cause, dobbiamo guardare agli effetti: non solo quelli negativi, che ascoltiamo ogni giorno, ma anche quelli positivi, che solo un osservazione più attenta, in un ambiente come questo, ci aiuta a cogliere.

La pandemia del coronavirus ci ha bruscamente risvegliati dal pericolo maggiore che hanno sempre corso gli individui e l’umanità: quello dell’illusione di onnipotenza.

Abbiamo l’occasione, ha scritto un noto rabbino ebreo in questi giorni, di celebrare quest’anno uno speciale esodo Pasquale, quello dall’esilio della coscienza: è bastato il più piccolo è informe elemento della natura, un virus, a ricordarci che siamo mortali, che la potenza militare e la tecnologia non bastano a salvarci: l’uomo nella prosperità non comprende, dice un salmo eco Mari che periscono. Quanta verità in queste parole!

Il Santo Padre segue con interesse la predicazione di Padre Raniero

Mentre affrescava la cattedrale di San Paolo a Londra il pittore James Tornhill a un certo punto fu preso da tanto entusiasmo per il suo affresco che, retrocedendo per vederlo meglio, non si accorgeva che stava per precipitare nel vuoto dall’impalcatura; un’assistente, inorridito, capì che un grido di richiamo avrebbe solo accelerato il disastro: senza pensarci due volte intinse un pennello nel colore e lo scaraventò in mezzo all’affresco.

Il maestro, esterrefatto, diede un balzo in avanti: la sua opera era compromessa, ma lui era salvo!

Così fa volte Dio con noi: sconvolge i nostri progetti e la nostra “quiete” per salvarci dal baratro che non vediamo; ma attenti a non ingannarci: non è Dio che con il coronavirus ha scaraventato il pennello sull’affresco della nostra orgogliosa civiltà tecnologica: Dio è alleato nostro, non del virus!

«Io ho progetti di pace, non di afflizione» (Ger 29,11) dice Dio nella Bibbia: se questi flagelli fossero castighi di Dio non si spiegherebbe perché essi colpiscono ugualmente “buoni” e “cattivi”, e perché di solito sono i poveri a portarne le conseguenze maggiori.

Sono forse essi più peccatori degli altri? No, colui che un giorno piange per la morte di Lazzaro, piange oggi per il flagello che si è abbattuto sull’umanità: si, Dio soffre, come ogni padre e come ogni madre!

Quando un giorno lo scopriremo, ci vergogneremo di tutte le accuse che gli abbiamo rivolto in vita! Dio partecipa al nostro dolore per superarlo: essendo supremamente buono, ha scritto Sant’Agostino, Dio non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre, dal male stesso, il bene!

Forse che Dio Padre ha voluto lui la morte del suo figlio sulla croce, a fine di ricavarne del bene? No: ha semplicemente permesso che la libertà umana facesse il suo corso, facendola servire però al suo piano, non a quello degli uomini.

Questo vale anche per i mali naturali, terremoti ed epidemie: non le suscita Lui.

Egli ha dato anche alla natura una sorta di libertà, qualitativamente diversa certo da quella morale dell’uomo, ma … una forma di libertà.

Libertà di evolversi secondo le leggi del proprio sviluppo: non ha creato il mondo come un orologio, programmato in anticipo in tutti i suoi movimenti; è quello che alcuni chiamano il “caso”, ma che la Bibbia chiama la “Sapienza creatrice di Dio”.

L’altro frutto positivo della presente crisi sanitaria è il sentimento di solidarietà: quando mai, a memoria d’uomo, gli uomini di tutte le nazioni si sono sentiti così uniti, così uguali, così poco litigiosi, come in questo momento di dolore?

Mai come ora abbiamo sentito la verità di quel grido di un nostro grande poeta italiano: “Uomini, pace! Sulla prona terra troppo è il mistero.”

Ci siamo dimenticati dei muri da costruire, il virus non conosce frontiere: in un attimo ha battuto tutte le barriere e le distinzioni, di razza, di religione, di ricchezza e di potere.

Non dobbiamo tornare indietro quando sarà passato questo momento: come ci ha esortato il Santo Padre, non dobbiamo sciupare questa occasione! Non facciamo che tanto dolore, tanti morti, tanto eroico impegno da parte degli operatori sanitari siano stati … invano!

È questa la “recessione” di cui dobbiamo più avere paura: «spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci, una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4): è il momento di realizzare qualcosa di questa profezia di Isaia, di cui da sempre l’umanità attende il compimento.

Diciamo basta alla tragica corsa verso gli armamenti: gridatelo con tutta la forza, voi giovani, perché è soprattutto il vostro destino che si gioca!

Destiniamo le sconfinate risorse impiegate per gli armamenti agli scopi di cui in queste situazioni vediamo l’urgenza: la salute, l’igiene, l’alimentazione, la lotta alla povertà, la cura del Creato.

Lasciamo alla generazione che verrà un mondo – se necessario – più povero di cose di denaro, ma più ricco di umanità.

La parola di Dio ci dice qual è la prima cosa che dobbiamo fare in momenti come questi: gridare a Dio!

E’ lui stesso che mette sulle labbra degli uomini le parole da gridare a Lui, a volte parole dure, quasi di accusa: «alzati Signore, vieni in nostro aiuto, salvaci per la tua Misericordia» (Salmo 43,26-27) «destati, non ci respingere per sempre» (Salmo 43,24); «Signore, non ti importa che noi periamo?» (Mc 4,38)

Forse che Dio ama farsi pregare per concedere i suoi benefici? Forse che la nostra preghiera può far cambiare a Dio i suoi piani? No, ma ci sono cose – spiega San Tommaso d’Aquino – che Dio ha deciso di accordarci come frutto insieme della sua Grazia e della nostra preghiera, quasi per condividere con le sue creature il merito del beneficio accordato: è Lui che ci spinge a farlo, «chiedete e otterrete, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7)

Quando nel deserto gli ebrei erano morsi dai serpenti velenosi (Numeri 21,6), Dio ordino a Mosè di elevare su un palo un serpente di bronzo, e chi lo guardava non moriva.

Gesù si è “appropriato” di questo simbolo: come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, perché chiunque crede in Lui abbia la vita eterna.

Anche noi, in questo momento, siamo morsi da un invisibile (e) velenosissimo serpente: guardiamo a Lui che è stato innalzato per noi sulla croce, adoriamolo in questa Basilica vuota, per noi e per tutto il genere umano: chi lo guarda con fede non muore e se muore sarà per entrare in una vita eterna.

«Dopo tre giorni risorgerò», aveva predetto Gesù! (Mt 26,63)

Anche noi, dopo questi giorni che speriamo brevi, risorgeremo, e usciremo dai sepolcri che sono diventate le nostre case, non per tornare però alla vita di prima come Lazzaro, ma per una vita nuova, come Gesù: una vita più fraterna, più umana, più Cristiana.

Il Papa prega in silenzio ai piedi del Crocifisso
Il Santo Padre bacia la Croce
Il Santo Padre offre simbolicamente la Croce alla Venerazione del Popolo,
che in questa circostanza non può venire a baciarla.
L’eucarestia viene portata dal tabernacolo all’altare per la comunione
Pater Noster
… o Signore, non son degno …
Scenda, o Padre, la tua benedizione su questo popolo
che ha commemorato la morte del tuo figlio nella speranza di risorgere con lui;
venga il perdono e la consolazione, si accresca la fede,
si rafforzi la certezza nella redenzione eterna.

… e l’assemblea si scioglie in silenzio.

Scritto da:

Marco @ReginaDellaPace.IT

Sono nato il 31 Dicembre 1970, mi occupo di informatica praticamente da sempre, e sono arrivato a Medjugorje il 30 Dicembre 2001: dopo il 50° "viaggio" (da pellegrino, da "guida", da "reporter") ho smesso di contarli.

Attraverso Medjugorje, ma soprattutto attraverso i messaggi, ho ricevuto innumerevoli Grazie, fra le quali quella di essere ancora in vita, e quella di aver raccontato "per via telematica" proprio dal 2002 quanto ho avuto il dono di vivere in questa "oasi di Pace".