di Don Giuseppe

La sacramentalità, intesa come relazione reale e concreta con Cristo, attraverso i sette segni che la Chiesa celebra, è costitutiva e fondamentale per la vita di ogni credente.

La Divina Rivelazione avviene attraverso gesti e parole, tra loro strettamente connessi, come ci insegna la Costituzione Dei Verbum del Concilio Vaticano II al n. 2.

L’amore verso Dio, come del resto l’amore fra persone umane, non si esprime né solo attraverso le parole, né unicamente attraverso i gesti, ma ha bisogno di entrambe le dimensioni del nostro essere donne e uomini.

Le parole da sole non possono soddisfare la sete di prossimità che l’amore esige, e i gesti, senza la parola, possono risultare brutali e inespressivi.

In questo tempo che stiamo vivendo, abitato dal dramma del coronavirus, mentre siamo invitati a riscoprire la sacramentalità della parola in questo deserto che rende impossibile o difficile la gestualità degli abbracci, dei baci, delle strette di mano a livello di rapporti tra persone, della partecipazione fisica alla celebrazione dei sette segni, in particolare dell’Eucaristia, nel nostro rapporto con Dio, forse possiamo iniziare a comprendere e magari continuare ad approfondire la nostra fede.

L’antica scuola di pensiero che prende il nome dal santo filosofo e teologo Tommaso d’Aquino (la Tomistica), affermava che i sacramenti mai sono da considerarsi come gesti magici producenti automaticamente effetti di grazia.

E proprio per questo motivo, profondamente realistico, non possono essere celebrati se non con e in presenza reale e non virtuale, o “digitale”!

La grazia della misericordia e del  perdono può comunque raggiungerci in tempi straordinari e altrettanto  in maniere straordinarie.

La Chiesa ci aiuta e ci sostiene indicando la possibilità di ricevere l’assoluzione comunitaria, senza la confessione individuale, ma attraverso quella generale dei peccati.

Giova a tutti noi ricordare che Il  Catechismo della Chiesa Cattolica prevede questa possibilità, al punto 1483: “In caso di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale. Tale grave necessità può presentarsi qualora vi sia un imminente pericolo di morte senza che il sacerdote o i sacerdoti abbiano il tempo sufficiente per ascoltare la confessione di ciascun penitente. La necessità grave può verificarsi anche quando, in considerazione del numero dei penitenti, non vi siano confessori in numero sufficiente per ascoltare debitamente le confessioni dei singoli entro un tempo ragionevole, così che i penitenti, senza loro colpa, rimarrebbero a lungo privati della grazia sacramentale o della santa Comunione. In questo caso i fedeli, perché sia valida l’assoluzione, devono fare il proposito di confessare individualmente i propri peccati gravi a tempo debito. Spetta al Vescovo diocesano giudicare se ricorrano le condizioni richieste per l’assoluzione generale”.

In questo senso è da cogliere l’azione (l’actio) che il vescovo di Arezzo ha interpretato e messo in atto, compiendo un gesto che, per la sua eccezionalità, è balzato all’onore delle cronache.

Una ulteriore modalità attraverso cui la grazia del perdono ci può raggiungere è quella che la tradizione cattolica denomina “atto di contrizione perfetto”: Anche questo caso è previsto dal  Catechismo, poco più avanti, al punto 1452“Quando proviene dall’amore di Dio amato sopra ogni cosa, la contrizione è detta «perfetta» (contrizione di carità). Tale contrizione rimette le colpe veniali; ottiene anche il perdono dei peccati mortali, qualora comporti la ferma risoluzione di ricorrere, appena possibile, alla confessione sacramentale”.

Il magistero della Chiesa cattolica, prevede pertanto che, la Confessione comunitaria con assoluzione collettiva sia da darsi  solo in pericolo di morte, e non possa quindi definirsi come modalità ordinaria per celebrare la penitenza.

Ritengo che in questo dettato, forse di sapore anche un po’ giuridico, vi sia da ravvisarsi una ragionevole e intelligente motivazione pastorale: esprimere l’accusa dei nostri peccati verbalmente ci aiuta a prendere coscienza della volontarietà delle azioni con cui ci siamo staccati dal Creatore e, riconoscendoci piccoli e miseri, invochiamo e impetriamo la grazia sanante e santificante come sola realtà capace di riunirci col Signore.

Solo, dunque, in casi di grave necessità  (e lo stato di universale pandemia lo è), e dopo attento discernimento da parte del Vescovo, al quale compete giudicare se ricorrano le condizioni richieste per l’assoluzione generale,  si ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale, in quanto i sacerdoti, che sono i soli ministri di detto sacramento, non disporrebbero di un tempo sufficiente per ascoltare le confessioni da parte di ciascun fedele e, fermo restando il fatto che (affinchè sia valida l’assoluzione), cessato l’imminente pericolo di morte si faccia il proposito di confessare individualmente i peccati.

E’ comune pensiero di molti teologi che spesso, noi cattolici, abbiamo vissuto le celebrazioni sacramentali in maniera abitudinaria e perfino magica e superstiziosa: la drammaticità del tempo presente è occasione propizia per aiutarci ad interiorizzare il mistero e a vivere la nostra fede con maggiore consapevolezza e con autenticità e coinvolgimento, sicché si operi in noi una vera conversione e possiamo, speriamo al più presto, ritornare a vivere i sacramenti con un cuore e una mente purificati.

Amelia 21 Marzo 2020 -> 24 Marzo 2020
Don Giuseppe